Rossatinta

blog dal 2006


Nonostante

Ho un grande peso sul cuore. Penso a te e mi sento triste-preoccupata- spaventata-inerme. Mi sento anche vigliacca perché apro whatsapp e dico ok, ora ti scrivo due righe esplorative ma poi mi freno, capisco che da lontano suona sempre tutto sbagliato e invadente fare un gesto. Ma anche non farlo è da vigliacchi. E quindi?
Mi sento in colpa se sto bene, ho poche nuvole nel mio cielo e una serie di cose piacevoli all’orizzonte ma sopraggiunge l’overthinking e arriva il tuo riflesso cupo, il suono del pianto sordo. Lo so che stai male e lo so che per te la vita è un Vietnam. Me lo scrivi spesso ma anche se non lo facessi si sente anche da qui. Mi sveglio di notte e arrivano le onde, i tuoni: è il tuo dolore che in qualche modo arriva, non so bene come. Però lo sento, giuro. So anche che qualsiasi cosa scriva, ti dica o faccia per te sarà sempre sbagliata perché proietti su di me il tuo Vietnam. Ho sbagliato e sbaglierò indipendentemente da quello che faccio, perché sono io. Eri piccolissima e già me lo dicevi che volevi morire, che non ce la facevi, che era troppo difficile. Sei cresciuta e ancora me lo ripeti e ancora lo sento. Vorrei evitartelo, tutto questo dolore.
Ma non posso, non so e non riesco a fare niente. Tranne saperlo.

Ma nonostante questo tu vivi, cresci, cambi e cerchi di farcela lo stesso. Tra i nonostante metto l’opinione cieca e il giudizio pesante di chi non sa capire, la fatica di chi ti sta vicino e tenta di arginare le tue derive, il tuo sentirti nammerda per quello che fai passare agli altri, la rabbia sconfinata che solo le persone come te sanno provare.
Nonostante i nonostante vai avanti. Ma a che prezzo? E per quanto?

Potrei mettere a questo punto il bel pippone sullo stigma che aleggia sopra ai disturbi mentali. Potrei appiccicare le solite tiritere del nessuno è normale. Potrei finire con il ricamarci su un raccontino strappalacrime. Tutta roba giusta, niente da criticare. Anzi, se avessi un gruppo di sostegno adatto a cui aggrapparmi (work in progress) sarei la prima a mettere in pratica le succitate modalità di comunicazione. Invece sto qua, sul blog meno in vista del web, non ho voglia di scrivere cose popolari e ben fatte. Signore e signori, sticazzi.

Se metto in prospettiva la nostra relazione, le rispettive vite e il senso generale dell’esistere in effetti è un pensiero consolante il saper che siamo mortali, finiti, ciclici e quindi non è tutto qua il discorso. Mica finisce qua, intendo. Di conseguenza va messo in conto che la scadenza è inevitabile ma mica così tragica. A esser capaci una si convince che la morte è un passaggio e se veramente perdavveroveramente così fosse boh, allora passiamo. Chissene: piuttosto che star male perché non raggiungiamo gli obiettivi e non ci realizziamo e non siamo in grado di molliamo il colpo. Se la morte è un passaggio allora passiamo e vediamo cosa succede. Ma siamo ancora (siamo? Parla al singolare, mica sai cosa pensano gli altri)…dicevo, sono ancora troppo mentale per dire allegramente ci vediamo di là, stammi bene. Me la racconto, ho una fifa blu (perché si dice blu?) al pensiero che morirò ma soprattutto che potresti morire tu.
Ci vediamo di là una cippa.

Nonostante questo quella rara volta in cui mi chiedi come sto, in cui ci scriviamo qualcosa, in cui insomma tenti di recuperare un minimo sindacale di serenità e me la racconti io sono felice come quando sei nata (top di gamma delle mie gioie). Rinasco/risorgo ogni volta che ti sento positiva, che hai un progetto, che ti stai impegnando in qualcosa, che stai vivendo decentemente nonostante l’insonnia le paranoie le ansie i dolori le delusioni e quell’ottovolante emotivo che ti devasta da che sei in grado di ragionare. Quando hai questi passaggi felici non cammino, volo. Spero che sia l’inizio di una risalita, provo a crederci. Una parte di me trattiene l’entusiasmo e si protegge, sapendo che è un attimo e che passa. Ma sapessi come sono sollevata. Non hai idea di come possa sentirmi leggera.

Ma non te lo dico, forse lo senti forse no. Non ti farebbe bene sapere quanto soffre chi ti ama nel saperti così devastata. Vivo sott’acqua, senza aria, trattenendo l’ansia. Vivo nel giogo della preoccupazione, scacciando i fantasmi, allontanando l’allarme che suona in testa.

Tre volte ho partorito. Tre figli sono una quantità considerevole. Tre destini, tre viaggi, tre persone. TRE PERSONE. Minchia, è tanta roba.

Alla psicologa in terapia dissi che i miei figli erano la cosa più importante che ho fatto nella vita. Molto originale. Lo penso ancora. Non sono il senso della mia vita, ne sono l’impegno più oneroso. La fatica maggiore. Il dolore maggiore. E una parte di me ha capito che in tutto questo non c’entro più di tanto. Io sono, come una marea di altre donne, lo strumento della prosecuzione della vita. Procreo, cresco, invecchio e poi muoio: basta, grazie così. Niente di preoccupante, tutto come dev’essere, direi niente di angosciante.
Ci sono iome e c’è la memadre, che è un’altra roba. Ma c’è anche la me bambina, la me adulta, la me vecchia tranquilla. La me che ha superato i desideri e vive le cose con l’anima leggera. La me che si guarda dal di fuori e tiene conto di tutte le parti. Un bel team, direi.

E tu mi vedi altrettanto sfaccettata, intelligente e profonda come sei. Ci sono parti che ami, altre che ammiri e altre ancora che odi. Tu sei stata capace di vedere il mondo com’è, eccola qua la verità. Ma questo ti fa troppo male. Si paga molto caro il vivere le emozioni senza freno tirato.

Beh, lettrice lettore o lettor*, scusa per lo sfogone.
Se hai letto fin qua azzarola, complimenti.
Ah, non so se resta questo post, è troppo personale.
Dai, vediamo.



2 risposte a “Nonostante”

  1. dispiacere, duul , inutile in pratica,ma sincero.

    abbraccio , cieco ma forte.

  2. Prima che il post svanisca, lo scrivo, che anche per me i miei figli sono la cosa più importante che NON ho fatto nella vita. E senza, a tutto il resto è difficile dare un senso.

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